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Oschiri (SS)

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Localizzazione

Stato: Italia
Regione: SARDEGNA
Provincia: Sassari

Territorio

Nome in dialetto: Oschiri
Altitudine: 202.00 m s.l.m.
Superficie: 215.61 km2
Abitanti: 3104

Altre informazioni

Nome Abitanti: Oschiresi (oschiresos)
Patrono: San Demetrio il 0000-00-00
Prefisso: 079

Contatti

Email Comune: -
Telefono Comune: 079.7349100

Stemma

Descrizione

Preistoria

Fin dalla preistoria la zona direttamente identificabile con i limiti del territorio comunale ha costituito un punto di riferimento privilegiato per le popolazioni locali, interessando per questo rilievo anche una vasta area confinante. La presenza umana è documentata fin dal terzo millennio a.C., come evidenzia in diversi studi la dott.ssa Paola Basoli della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Sassari e Nuoro, dai quali emerge l’idea di un’intensa frequentazione umana. Ci riferiamo a comunità di dimensioni assai ridotte, che scelsero come luogo di residenza soprattutto la collina o aree di prima montagna; la pianura, al contrario pur frequentata, non era vista con eccessivo favore per l’individuazione di insediamenti stabili.
Tra le testimonianze più antiche è facile segnalare le numerose Domus de Janas (oltre 70), monumenti funerari sparsi in tutto il territorio oschirese, esempio di uso dello spazio e di una tipologia produttiva che favoriva la dispersione delle comunità in vaste aree e, allo stesso tempo, scoraggiava la nascita di veri e propri centri abitati. Grandi complessi megalitici come la necropoli a Domus de Janas di Malghesi (25 domus) e Pedredu (10 domus) costituiscono esempi di primordine. L’esame dei resti megalitici dell’intero territorio ci introduce più a fondo nel mondo del sacro e dei riti funerari. I dolmen e i menhir di Monte Cuccu, di Monte Ulìa, di Berre, sono tra le testimonianze più importanti sotto questo aspetto. Non vanno trascurate le misteriore rocce scolpite di Santo Stefano, che costituiscono un esempio singolare di opera di incisione nella roccia con simboli geometrici. Non è escluso che costituiscano la testimonianza di un antichissimo interesse dell’uomo per un’iconografia ispirata a quelle religioni cosmiche che erano praticate dalle popolazioni pastorali antiche, così come sono plausibili anche altre ipotesi che saranno approfondite più avanti.

Il periodo nuragico
Non può mancare uno sguardo sull’individuazione dei numerosi insediamenti che si svilupparono nel territorio oschirese nei secoli XV-VIII a.C. nuraghi, villaggi, tombe di giganti, pozzi, fonti, località frequentate dall’uomo che, pur in carenza di sistematiche indagini archeologiche, hanno restituito una quantità di elementi di cultura materiale di grande rilievo. Gli studi hanno offerto una mappatura che si riferisce a ben 60 siti nuragici disposti generalmente su alture più o meno emergenti, ma generalmente lontane dal fondovalle. L’analisi della distribuzione dei monumenti nel territorio evidenzia una loro funzione strategica di controllo delle vie di penetrazione, delle risorse idriche e delle aree con maggior potenzialità economica. Il territorio comunale rappresenta in maniera esaustiva l’ampia varietà di soluzioni architettoniche tipiche di questo panorama monumentale: sono documentati infatti alcuni edifici del tipo “a corridoi”, diversi nuraghi a tholos semplice e altri a sviluppo complesso. Oltre alla struttura architettonica delle costruzioni nuragiche e a quelle abitative generalmente annesse alle torri principali, dallo studio dei resti di questa civiltà sono derivate anche conoscenze che provengono dai ritrovamenti di cultura materiale o da raffinate testimonianze artistiche. Nel sito di Lughéria, periferia sud dell’attuale centro abitato, è stato rinvenuto uno splendido e ormai famoso carretto in bronzo; si tratta probabilmente di un cofanetto che era destinato a contenere oggetti preziosi. Il reperto è esposto al Museo Archeologico Comunale di Oschiri insieme con due navicelle votive in bronzo sempre del periodo nuragico.

Il periodo fenicio-punico
Sul grado di integrazione raggiunto con Greci e Fenicio-Punici, che dominarono vaste aree della Sardegna nei secoli IX-III a.C., sappiamo ancora molto poco. Sfuggono soprattutto precise cognizioni di insediamnti stabili; il ritrovamento di monete e manufatti di sicura provenienza nord-africana dimostra, comunque, un volume di scambi e contatti tra le due componenti, locale ed esterna, tutt’altro che sporadici o poco significativi.

Il periodo romano
Il territorio di Oschiri, situato in gran parte in pianura, può essere catalogato tra quelli più toccati dalla presenza romana, a differenza di quelli di paesi confinanti come Berchidda o Pattada, nel territorio dei quali la romanizzazione si limitò alle aree più basse senza interessare la gran parte delle terre situate a maggiore altitudine. Per le nostre conoscenze circa il grado di radicamento di Roma nella zona, più che le fonti letterarie sono essenziali quelle epigrafiche, archeologiche, numismatiche. A questo punto può essere introdotto il discorso sull’area di Castro, in particolare il colle di San Simeone, uno dei temi più interessanti e storicamente rilevanti dell’intera storia oschirese. Possiamo considere questa zona collinare come un’ideale cerniera di collegamento tra il periodo nuragico e il primo periodo storico antico. Le indicazioni delle distanze in miglia tramandate dalle fonti classiche, raffrontate con semplici rilievi sulla carta o sul terreno, oltre che col ricordo popolare, consentono di individuare presso le rovine di Castro, alla sommità della collina di San Simeone, pochi chilometri ad ovest di Oschiri, i resti di un antico insedimanto fortificato, Luguido, il centro militare più importante della zona. Il villaggio annesso alla fortificazione occupava la vallata a sud del colle di San Simeone. Sulla sommità dello stesso, fu edificata la stazione fortificata di Luguido, importante tappa di sosta e riposo per i collegamenti nell’asse est-ovest e in quello nord-sud, e, soprattutto, accampamento militare. Il castrum era ugualmente un nodo essenziale per i collegamenti con il sud-est, con Caput Thirsi o con le regioni di Buddusò/Benetutti. La sperduta stazione di sosta di Luguido col tempo si ingrandì ed acquisì in seguito il ruolo di centro militare; lo testimoniano i numerosi rinvenimenti epigrafici che attestano, tra gli altri, lo stanziamento nel I secolo d.C. di un reparto della Cohors III Aquitanorum, una truppa militare composta da Aquitani, a cui forse succedette un altro distaccamenbto formato da Sardi (la Cohors Sardorum). Luguido garantiva alle guarnigioni di stanza un punto di osservazione ed una base logistica di primario interesse per la Sardegna settentrionale. Tutti i traffici diretti verso la costa orientale, verso gli scali galluresi, che provenivano dal Logudoro interno, dalle aree di produzione cerealicola, passavano necessariamente in un settore controllabile a vista dal Castrum. I carichi potevano essere ispezionati con facilità, l’identità delle persone verificata, i concentramenti armati ostili impediti, i pesi fiscali ai prodotti in transito applicati. Questa presenza romana e il grado di integrazione con le popolazioni della pianura sono testimoniate anche dal ritrovamento di numerosi tesoretti monetali risalenti a diversi periodi, da quello repubblicano a quello tarso imperiale.
Le conoscenze che ci provengono dai recenti scavi archeologici hanno messo in luce che l’uso militare del sito coprì un periodo ci circa temila anni.Oggi possiamo osservare consistenti resti di una torre nuragica che guarda a occidente, oltre ai resti del castrum la cui attività militare si protrasse fino al basso medioevo. Dagli svavi archeologici condottoi dal prof. Pier Giorgio Spanuemerge l’interesse dei Romani alla fortificazione dell’area in oggetto, la fortuna plurisecolare dell’insediamento militare, il rilievo che anche i bizantini, a distanza di mezzo millennio, attribuirono a questa fortezza e a ciò che rappresentava per la difesa e il controllo di tutta una vasta area.Il suo rilievo può essere esteso fino ad interessare un vasto territorio circostante che, a grandi linee, possiamo considerare coincidente con l’intero Monteacuto o, se preferiamo, con l’area centro-orientale del Logudoro. Fissando l’attenzione su questo concetto apparirà ancora più chiaro come per parlare di Oschiri non ci si possa limitare ad illustrare i fatti circoscritti all’ambito comunale, ma sia necessario utilizzare un’ottica più vasta e storicamente più completa.
Anche nei secoli successivi il colle di San Simeone e la fortezza, che col passare del tempo era stata più volte ingrandita, ristrutturata, abbellita, dotata di qualche comfort, svolsero il loro immutato ruolo militare almeno fino all’alto medioevo. Un geografo che scrisse in età bizantina, l’Anonimo Ravennate, ci parla dei Castra Felicia; nella citazione, come suggerisce Pier Giorgio Spanu, non è azzardato supporre che possiamo identificare strutture fortificate come quella, appunto, di Castro, presso Oschiri.

Storia Contemporanea
Numerose relazioni ci offrono uno spaccato abbastanza preciso delle condizioni economico-sociali, dell’organizzazione socio-produttiva e della situazione dell’ordine pubblico di Oschiri a metà XVIII secolo. Le stesse pur riconoscendo che la situazione del villaggio era più accettabile rispetto a quella di altri paesi del Monteacuto, ponevano l’accento sulla sua cattiva amministrazione, giudicavano negativamente l’operato degli amministratori di giustizia e segnalavano la presenza di continue liti tra famiglie che tormentarono la vita della comunità oschirese per lungo tempo. Tra queste si può ricordare la relazione di Vincenzo Mameli di Olmedilla, funzionario del Regno Sardo-Piemontese, del 1769 e quella del viceré Hallot Des Hayes del 1768. In tutte e due le relazioni Oschiri è descritto come uno dei villaggi più consistenti del Monteacuto grazie ad una popolazione di 1434 abitanti, «gente per lo più robusta, vivace e la meglio disposta di tutto il Monteacuto e che per la maggior parte vivono decentemente». L’attività principale dei suoi abitanti era la pastoriza, con una predominanza dell’allevamento bovino rispetto a quello ovino. Pur abbondando di terreni fertili, olivastri, vigne, tuttavia l’agricoltura non era sviluppata come l’allevamento. Inoltre già a metà del XVIII secolo i più agiati possedevano delle “tanche”, ossia terreni chiusi da muriccioli di pietra. L’amministrazione civile e giudiziaria erano ancora curate da un luotenente e un maggiore di giustizia, un sindaco, il censore, due ministri patrimoniali e un capitano. La tutela dei pastori e dei contadini contro il furto del bestiame e il danneggiamento dei seminati era grantita, invece, dall’operato di 30 barracelli presenti nel territorio già sul finire del XVII secolo.
Sul finire del 1700 i moti antifeudali guidati da G.M. Angioy non incontrano ad Oschiri un grande interesse. Agli inizi del XIX secolo si verificarano alcuni avvenimenti che, anche se indirettamente, influenzarono in senso positivo la storia e l’evoluzione di Oschiri per i periodi successivi. Nel 1803 fu ripristinata la diocesi di Bisarcio, con sede ad Ozieri, soppressa con bolla di Giulio II nel 1503. La creazione della Provincia di Ozieri, nel 1807, rimasta in vita fino al 1860, e l’erezione in città di Ozieri, da parte di Carlo Alberto nel 1836, arrecarono notevoli benefici per le popolazioni del territorio che potevano così contare su un maggiore e più qualificato numero di servizi. Il 6 ottobre 1820 fu emanato il regio editto “sopra le chiudende”, pubblicato nell’aprile del 1823 e modificato con carta reale del 25 febbraio 1839. Pur ledendo, di fatto, gli interessi dei pastori la legge sulle chiudende, e le successive disposizioni in materia, non provocarono ad Oschiri quel clamore che si registrò in altri centri agropastorali dell’Isola. Nel 1843 il feudo del Monteacuto cessava ufficialmente di esistere. A metà del XIX secolo il territorio oschirese appariva come una delle regioni più ricche e certo la più razionalmente coltivata dell’intera Sardegna. Oschiri, capoluogo di mandamento nella prefettura di Sassari e tribunale di mandamento con giurisdizione su Tula, poteva contare su una popolazione di 2012 abitanti, notevolmente cresciuta rispetto a qualche decennio prima.
L’economia agropastorale era sempre florida grazie soprattutto all’allevamento bovino. I capi venivano esportati, a partire dal 1863, prevalentemente verso i dipartimenti francesi e la valle del Rodano. La presenza di un Monte di soccorso, operante ad Oschiri fin dalla fine del XVIII secolo, dotato di 1.000 starelli di frumento e di 1.000 lire, permise al paese di contrastare gli effetti rovinosi dell’usura e incrementare le potenzialità economiche dell’agricoltura, e agli agricoltori oschiresi di far fronte ai periodi più difficili. Sul finire del XIX secolo Oschiri aveva un servizio di corrispondenza affidato a privati, un telegrafo, la Pretura (per la zona di Oschiri, Tula, Berchidda, Monti) nel cui edificio si trovava un carcere e poteva offrire ai suopi abitanti la possibilità di usufruire di un servizio risparmi presso l’ufficio postale. A questo periodo risale la costruzione dell’edificio delle scuole elementari, la facciata del municipio e del cimitero, il mattatoio. Al 1875 risale la ricostruzione della parrocchiale, dedicata all’Immacolata, voluta dal parroco Gavino Maxia. Il crollo del tetto avvenuto nel 1862 provocò numerose polemiche, nelle quali fu coinvolto persino il consiglio comunale, che durarono almeno 20 anni. La vicenda diede spunto al poeta Antonio Domenico Migheli per la composizione della poesia satirica Sa briga ‘e sos santos. Con la costruzione della ferrovia Oschiri si trovò ad essere per lungo tempo al centro delle due più importanti vie di comunicazione che collegavano la costa nord con il resto dell’Isola, cosa che evitò al paese quell’isolamento di cui, anche in tempi non lontani, hanno conosciuto altre zone. La prima tratta che andava a collegare il territorio con Sassari e Porto Torres fu realizzata intorno agli anni ’70 del XIX secolo.
Nella prima parte del XX secolo il territorio oschirese ha subito profone modificazioni in seguito alla realizzazione della diga del Coghinas (1927) ed alla conseguente creazione del lago omonimo che va ad estendersi, per gran parte nell’agro di Oschiri, ed in minima parte in quello di Tula e Ozieri. All’inizio la creazione della diga e di un invaso così esteso (18 kmq) provocò molti malumori nella popolazione, nei pescatori, nei proprietari terrieri e soprattutto nei viticultori perché andava a sottrarre gran parte delle terre migliori e le vigne di Sigalesa. Ci furono addiritura 18 giorni di scipero nonché contrasti e incidenti per il rimborso degli appezzamenti espropriati.
La realizzazione dell’invaso e della diga favorirono la nascita di una delle prime esperienze industriali del nord Sardegna. In seguito alla costruzione della diga la Società Sarda Ammonia realizzò, nel 1927, una fabbrica per la produzione di ammoniaca e concimi chimici. La fabbrica operò ad Oschiri per alcuni decenni con due stabilimenti: uno era situato alla periferia del paese, in località Lugheria, presos la stazione ferroviaria, e produceva acido solforico e solfato ammoniaco; l’altro, ubicato nei pressi del Coghinas, offriva una produzione di idrogeno ed ossigeno. Lo stabilimentod i Oschiri aveva una potenzialità produttiva di 3500 tonnellate di azoto ed in tutta Itlia ce ne erano solo 9. La nascita della fabbrica fu fortemente voluta dagli oschiresi se è vero che l’intero paese manifestò contro i rappresentnati della Sarda Ammonia nel momento in cui questi, nonostante le promesse fatte, presero in considerazione l’ipotesi di realizzare la fabbrica di concimi chimici ad Olbia e non più ad Oschiri. I benefici indotti da questa presenza industriale furono notevoli in termini occupazionali (nel 1928 solo la fabbrica occupava 160 operai) e socioeconomici. La presenza di maestranze e manodopera specializzata introdussero, nell’orizzonte culturale tipico di un’economia agropastorale, problematiche sociali sconosciute e di più ampio respiro. Si delineò così la presenza di una forma di proletariato industriale che sopravvisse fino alla scomparsa della fabbrica che avvenne a fine anni cinquanta.
Durante il periodo della seconda guerra nsce un centro di confezione e recupero di divise e scarpe militari, che diede lavoro a 200-300 persone ed operò fino agli anni settanta, e l’allestimento di un ospedaletto militare legato allo stanziamento delle truppe nel territorio. Subito dopo la guerra Oschiri è pervasa dal movimento cooperativistico. Fra le iniziative più significative si possono ricordare quella della Cooperativa tra combattenti, della Cooperativa Agricola tra lavoratori, della Cooperativa Sant’Isidoro; nel settore della pesca la Cooperativa Pescatori Lago Coghinas e in quello dell’allevamento l’esperienza della Cooperativa allevatori e pastori oschiresi. La maggior parte di queste iniziative rimase in vita pochi anni, uno dei limiti più evidenti poteva essere individuato nella mancanza di un vero vincolo solidaristico tra i soci. La storia successiva di Oschiri è quella di un centro in cui è affiorato un certo benessere e la cui immagine positiva si contrappone a fenomeni di crescente disoccupazione e spopolamento giovanile. Il settore tradizionale della pastoriza e dell’allevamento, pur non essendo l’occupazione più prevalente della popolazione, rappresentano ancora la maggior fonte di reddito. L’allevamento ovino e bovino, orientato in particolare verso la produzione di latte, ha contribuito a dare notevole impulaso alla nascita e allo sviluppo del comparto lattiero-caseario. Nel paese sono presenti due caseifici che producono formaggi bovini e ovini, ricotta, burro, esportati in tutto il mondo.
Poco sviluppata, invece, l’olivicoltura nonostante la presenza di numerosi olivastri e lo stesso dicasi per la produzione e la lavorazione del sucghero di il territorio oschirese, nel versante del Limbara, è ricco. Eppure tra il 1910 ed il 1930 ad Oschiri operò una piccola fabbrica per la lavorazione del sughero. Un discorso a parte deve essere fatto per la produzione vinicola. La comunità oschirese ha sempre coltivato le vigne e prodotto il vino sebbene fino al XIX secolo la viticoltura sia rimasta un fatto privato legato alla soddisfazione delle esigenze familiari ed alla domanda alimentare interna. Oggi la coltivazione della vigna e la produzione di vino, in particolare del Vermentino, continuano ad assolvere un ruolo importante nell’economia del paese nonostante il calo quantitativo dovuto all’invasop del Coghinas che ha privato Oschiri dei migliori vigneti. Negli ultimi anni Oschiri è riuscita a dare impulso al settore artigianale legato soprattutto alla gastronomia locale (le panadas cui è stata riservata una sagra ormai decennale, i dolci, il torrone, il pane, le perette).
Dal 1965 è iniziata un’importantissima opera di forestazione di gran parte del territorio. Grazie ai numerosi lavori di sistemazione idraulica, montana e di rimboschimento realizzati negli ultimi anni dall’azienda foresta demaniale è possibile visitare la foresta demaniale di Su Filigosu dove è presente anche un’oasi faunistica di specie protette con daini, mufloni, cinghiali, aquile, greppi, falchi pellegrini. Grazie a questi interventi la consistenza boschiva del territorio oschirese è ancora molto consistente.

I testi sono tratti dalle seguenti pubblicazioni:

-Oschiri, Castro e il Logudoro Orientale, (a cura di) Giuseppe Meloni, AAWW;
-N.S. di Castro, (a cura di) Associazione Su Furrighesu; L'industria chimica ad Oschiri, di Mario Vargiu.


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