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Riola Sardo (OR)

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Localizzazione

Stato: Italia
Regione: SARDEGNA
Provincia: Oristano

Territorio

Nome in dialetto: Arriòra
Altitudine: 9.00 m s.l.m.
Superficie: 48.11 km2
Abitanti: 2074

Altre informazioni

Nome Abitanti: Riolesi (arrioresus)
Patrono: San Martino, sant'Anna il 11 novembre, 26 luglio
Prefisso: 0783

Contatti

Email Comune: [email protected]
Telefono Comune: 0783 410219

Stemma

Gonfalone

Descrizione

Riola Sardo (in sardo Arriòra) è un comune di 2139 abitanti della provincia di Oristano.
Come quasi tutti i toponimi sardi anche Riola indica, in modo specifico, la sua ubicazione. Per tutti i centri del Campidano, che in età romana non sono stati che fattorie sparse nella fertile vallata tra il Montiferru, il Sinis e il Tirso, la trasformazione da mansio in villa avvenne certamente dopo l’abbandono di Tharros conforme a quanto asserisce il Fara. 
Gli avvenimenti che portarono alla creazione di tanti piccoli centri e della stessa Oristano vanno posti in relazione all’esodo dalla pericolosa fascia costiera. E quelle paludi, che costiuirono la prima naturale fascia protettiva per Oristano, lo furono per quasi tutti i centri minori. Non fa meraviglia pertanto che proprio in riva al rio (S’Arriu) sia sorto il primo nucleo di Riola che ha preso da esso il nome (Arriora), da esso ha tratto, per lungo volgere dei secoli, la sussistenza e ogni forma di vita e di attività.
L’attività agricola di Riola dovette essere ben misera a confronto con l’attività della pesca. Si tenga presente che in prossimità di Riola è Nurachi ‘e pische, che trae il nome proprio dall’intensa attività ittica del paese.

Il paese di Riola Sardo fu abitato sin dall'età nuragica, come testimoniano diversi resti archeologici come alcuni nuraghi, tra i quali il nuraghe "Benatzu de sa conca de su moru" che figura nella carta catastale De Candia custodita nell'Archivio di Stato di Cagliari, il nuraghe Civas, nuraghe Predi Madau.
Le vestigia puniche nel territorio di Riola sono frequenti, intorno al nuraghe Civas si rinvengono frammenti di ceramiche, tra cui delle anfore a sacco con orlo aggettante all'interno della bocca, appartenenti al III secolo a.C.

Presso "Is ariscas burdas" sono frequentissimi i frammenti di ceramica punica e di terracotta figurata e piccole maschere femminili riferibili forse alla stirpe votiva di un piccolo tempio campestre dedicato a Demetra e Kore. Un vasto centro punico è localizzato a Sud del nuraghe Predi Madau, le ceramiche qui rinvenute si riferiscono a tipi punici e attici.

In epoca romana il territorio di Riola fece forse parte del Territorium Tharrense cui corrispondeva nel Medioevo la curatoria di "Parte pontis" o di San Marco del Sinis che si estendeva dalle pendici meridionali del Montiferru al mare sardo e comprendeva anche il territorio riolese del Sinis fino a Tharros.
L'altra curatoria, detta del Campidano Maggiore, si estendeva dal Sinis al fiume Tirso. Di quest'ultima faceva parte Riola.

Verso il 450-55 d.C. la Sardegna passò dall'amministrazione romana al dominio vandalico fino al 533 d.C., quando i Bizantini conquistarono l'isola.
I molteplici mutamenti di dominio politico non causarono immediati cambiamenti culturali ed economici. La documentazione archeologica ci dimostra il permanere nel periodo bizantino di tecniche edilizie di remota origine punica, presente in Africa e in Sardegna.

Nel tardo Medioevo Riola era una Domu, un'aggregazione rurale di proprietà laica, spesso giudicale. I due centri di Riola e San Vero maturarono la condizione di Villa nel secolo XIV.
San Vero è menzionata nelle "Rationes Decimarum Sardiniae" ed è presente all'Atto di Pace del 1388.
Riola non è segnalata nelle "Rationes" ma è presente con un suo "Majore de Villa" e gli altri rappresentanti all'atto del 1388. Le condizioni d’incertezza nella determinazione del territorio delle varie ville della zona dovettero crearsi tra il 1388 e il 1570, anno in cui è documentata la prima volta la lite tra riolesi e seneghesi. Questa situazione determinò l'interminabile "quaestio" tra riolesi e seneghesi da prima, poi tra riolesi e sanveresi.

Un'ampia documentazione relativa al periodo spagnolo c’informa delle epidemie e delle carestie diffusesi a più riprese in Sardegna. Quale dovesse essere la situazione d’insicurezza dei traffici e d’isolamento di Riola in quell'epoca ce lo lascia comprendere la risoluzione presa tra il 1586 e il 1592 dal Viceré D. Pietro di Moncalda, il quale chiese che fosse costruito un solido ponte tra la via alle saline e Alghero.

Le pestilenze continuarono a manifestarsi tra il 500 e il 600 insieme ad altri fenomeni negativi.
Nel 1647, scrive l'Angius, un immenso sciame di cavallette, portato dal vento africano, avvolse la Sardegna meridionale diffondesi in seguito nelle altre parti. Il danno che arrecarono fu incalcolabile e la provincia arborese fu una delle più colpite. Seguì subito una gran mortalità del bestiame. Ai danni causati dalle cavallette seguì una grande carestia che decimò buona parte della popolazione. Nel maggio del 1652 venne introdotta nel Regno la pestilenza. Nel 1656, cessata la pestilenza, la popolazione arborense risultò decimata. A poco a poco Riola si riebbe e nel censimento del 1698 contava 179 fuochi con 317 uomini e 283 donne (600 abitanti) contro gli 88 fuochi (circa 350 abitanti) del 1653.

Un aspetto particolare acquistano le vicende di Riola in relazione agli atti di pirateria che, ad opera di barbareschi e turchi, affliggevano non solo le terre del Sinis e dei paesi circostanti, ma spesso si addentravano nei paesi delle colline, seminando il terrore e raccogliendo innumerevoli vittime destinate alla schiavitù.
Le coste sarde erano state protette da torri fin dai tempi di Alfonso il Magnanimo, nella seconda metà del secolo XV, ma il massimo incremento a questi edifici si realizzò proprio al tempo di Carlo V. Poiché la natura delle coste del Sinis consentiva facili approdi per le imbarcazioni, le torri non riuscirono a proteggere gli abitanti dalle incursioni barbaresche.
Lo spopolamento del Sinis fu lento e inesorabile, finché nel 1767, con l'avvento dei piemontesi e l'apparizione del marchese Damiano Nurra D'Arcais, tutti e tre i campidani, compreso il Sinis, fecero parte del feudo del marchese.

Riola Sardo è un centro agricolo dell'Alto Campidano, sorge su una vasta zona pianeggiante tra il paese di Nurachi e quello di Cabras. Il territorio risulta compreso tra i 0 e i 38 metri sul livello del mare.
Su tre lati è circondato dallo stagno di Mare Foghe dove un tempo si praticava la pesca, ma poi venne bonificato dai monaci Camaldolesi.
Sulla costa nord si possono ammirare le falesie di "Roia de cantoru" e quelle de "Su Cuccuru Mannu", formatesi nel corso dei millenni grazie all'erosione del mare.
La morfologia è caratterizzata da modestissimi rilievi e quasi sempre dagli antichi depositi alluvionali del Tirso, intervallati da zone in depressione spesso occupate da terreni palustri, ora in gran parte bonificati.

Un'altra area appare come un deposito di materiali dovuti al trasporto, ad opera del vento, delle sabbie eoliche d’età Wurmiana. La regione dove però le dune, sono meglio integrate alla morfologia è il Sinis. La formazione dunare nettamente più rilevante, quella di Serra Is arenas, si estende a nord-ovest di Riola in forma di enorme triangolo, protendendosi verso sud-est per oltre quattro chilometri a partire dalla costa.
Nei dintorni di Riola affiorano depositi di sedimenti di origine salmastra, testimonianza dell'esistenza di una serie di lagune più o meno in comunicazione con il mare aperto.

Il Sinis è il territorio in cui si estendono le fertili campagne riolesi, per la maggior parte terreni molto umidi, ricchi di paludi e di piccoli stagni, che nei secoli scorsi, in periodo di abbondanti piogge, formavano un unico acquitrino.
La flora tipica di queste zone umide era ed è caratterizzata dalle seguenti piante palustri:

  • La canna (arando donax), utilizzata nell’edilizia, nell’agricoltura, per lavori artigianali e per costruire strumenti musicali (le launeddas);
  • La cannuccia (phragmites communis) nota come “cannisoni”;
  • Il biodo (sparganium simplex), pianta perenne acquatica conosciuta come “su fenu”, utilizzata per impagliare le sedie e per la realizzazione dei “fassonis”, che sono delle arcaiche canoe utilizzate negli stagni e nelle paludi;
  • I falaschi (carex diversicolor, carex divisa e carex musicata), pianta perenne dei pascoli umidi, conosciuta come “saura”, utilizzata per la costruzione delle tipiche capanne che venivano costruite in estate nelle borgate marine;
  • La sala (tipha angustifolia e tipha latifoglia), piante perenne acquatica delle paludi e dei fossi, conosciuta in limba con il nome di “spauda”, utilizzata per confezionare stuoie, impagliare sedie e costruire delle piccole capanne;
  • Il giunco (juncus acutus), piante perenne, pungente e infestante dei luoghi umidi, conosciuta con il nome di “zuncu” o “zinniga” (juncus articulatus), utilizzata dai contadini per produrre legacci, funi e per vari lavori artigianali;
  • Cipero (cyperus longus) conosciuto come “sessini”, veniva usato per lavori artigianali;
  • Millefoglio d’acqua (myriophyllum spicatum) e il ceratofillo (caratophillum demersum) nota come “arrù ‘e abba”, pianta d’acqua stagnante o lentamente fluente;
  • Lenticchia d’acqua (lemna minor e lemna gibba), pianta perenne d’acqua, galleggiante conosciuta con il nome di “antilla de abba” o “erba de anadis”;
  • Hidrocotyle ranuncoloides, pianta acquatica infestante conosciuta con il nome di “mantu de abba”, anticamente i pescatori trascinavano a riva grandi porzioni di questa pianta palustre per catturare le grasse anguille che vi rimanevano impigliate.
  • Sedano palustre (apium nodiflorum), pianta acquatica conosciuta con il nome di “mazzuzzu” o “appiu de arriu”;
  • Obione (alimione portulacoides), piantina plustre aromatica, conosciuta come “zibba”, utilizzata per conservare nel tempo i muggini bolliti nell’acqua salata. Questa specialità gastronomica è nota come “merca” (“mecca” in riolese);
  • Salice (salix alba), pianta amante delle sponde del fiume conosciuta come “matta de linn’ e arriu”;
  • Tamerice (tamerx) pianta cespugliosa conosciuta come “tramatzu”;

Le zone più asciutte erano infestate da verbasco conosciuta con il nome di “su cadumbu”, da qui fusti si costruivano rudimentali scope e dei contenitori per i carretti con cui trasportavano la paglia dall’aia ai magazzini.
Nelle zone sabbiose denominate “Is Aneas”, prolifera lo sparto pungente conosciuta con il nome di “s’aedda” con cui si confezionavano cestini e contenitori di varie fogge e dimensioni.

Sono tipici del posto animali quali conigli, lepri, pernici, galline prataiole e il tarabuso (“su oi forraiu”), un uccello acquatico che si porta dietro molte leggende.
Attorno al paese sono presenti diverse zone umide d’interesse naturalistico, primo fra tutti il Rio Mare Foghe e il tratto di stagno di Cabras di proprietà comunale, che ospita una pregiata avifauna.

L'abitato di Riola Sardo si adagia sulla sponda sinistra del corso d’acqua Rio Foghe, tributario dello stagno Cabras.
Il centro storico di Riola è caratterizzato dalla casa tipica campidanese, costruita con i mattoni di terra cruda denominati "ladiri" o "ladrini". La casa padronale con la corte e con i locali ad essa connessi è suddivisa in due aree ben definite: la prima, che comprende la casa, i locali a servizio della casa ed un cortile, il tutto completamente racchiuso entro muri di mattoni crudi, e la seconda, che comprende un cortile retrostante che fungeva di solito da orto.

La struttura portante della casa e dei locali ad essa connessi è costituita con fondazioni di pietrame legato da una malta di fango (raramente con malta di calce), le murature in mattone crudo "ladrini", gli stipiti e gli architravi delle porte e delle finestre della casa sono realizzati in pietra lavorata (arenaria, più raramente basalto). Il prospetto della casa di solito segue l’andamento della via sulla quale prospetta. Le case padronali, per simboleggiare la raggiunta solidità economica, arricchivano la tipologia dell’edificio con l’aggiunta di un corpo rialzato; infatti, questa scansione del ritmo orizzontale degli edifici è solo in funzione economica. Nel cortile retrostante la casa si trovavano il frantoio e i locali destinati ad uso agricolo o a deposito di botti e damigiane. All’esterno di questi locali, e da essi separati da una grossa striscia della corte, era posta la stalla per i cavalli e quella per i buoi ed il fienile. Il grande spiazzo della corte offriva da un lato l’ingresso col vasto portale profilato in arenaria e con architrave di sovente in travi di castagno o ginepro, più raramente in pietra arenaria. Era un loggiato vasto dal quale si accedeva alla corte. Il portale metteva in comunicazione la corte con la strada ed era collocato sullo stesso lato della facciata della casa.


Le case signorili

Nel retro della parrocchiale si erge la Casa Carta, risalente al XVII secolo, antico edificio che ha conservato nei secoli inalterato il suo fascino di residenza aristocratica e oggi sede dell'Hotel Lucrezia di proprietà della famiglia Carta. La casa è una tipica residenza campidanese espressione di uno tra i ceti sociali di rango elevato. La struttura presenta all’interno un vasto loggiato (sa lolla), con il pozzo per l’approvvigionamento idrico e gli ambienti circostanti per la conservazione delle derrate agricole, del vino e degli strumenti di lavoro. Gli ambienti residenziali, illuminati da finestre rettangolari aperte sulle vie pubbliche, si dispongono su due piani, segno evidente della particolarità e nobiltà della casa in un panorama urbano di abitazioni a piano terra.

Sulla Via Regina Margherita è presente un’altra casa signorile (fine secolo XIX) ma in totale stato d’abbandono. La struttura, in mattoni crudi (ladiris), poggia su uno zoccolo di pietra rivestito da un intonaco superficiale bianco che in corrispondenza del basamento è decorato da un falso bugnato grigio, mentre dei finti blocchi, alternativamente rosa e avorio, sono realizzati all’estremità laterali della facciata ed in rapporto alle tre finestre ed alla porta, decorata da pannelli intagliati e impreziositi con motivi floreali geometrizzati.


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